Per me, un karkadé!

Stiamo vivendo un momento drammatico della nostra storia: l’orrore e la disperazione della guerra, che ogni giorno il popolo ucraino e il popolo russo stanno vivendo, non possono essere commentati. Meritano solo silenzio e profondo rispetto.

In questo editoriale, invece, vorrei fare alcune riflessioni in merito alla nostra agricoltura, a quale sarà l’impatto della guerra sulla vita e sulle tasche degli imprenditori agricoli e dei consumatori italiani.

La GDO e gli operatori del settore agroalimentare hanno già iniziato a lanciare i primi allarmi: il 60% della produzione mondiale di olio di girasole proviene da Russia ed Ucraina e, a causa degli eventi bellici, si stima che tra circa un mese si esauriranno le scorte a disposizione sul mercato.

Un altro comparto fortemente toccato dalle vicende belliche è quello cerealicolo: circa il 20% dei cereali importati dalla UE provengono da Ucraina e Russia e l’interruzione di queste linee di approvvigionamento hanno fatto schizzare in alto i prezzi, che l’8 marzo hanno sfondato, per il grano tenero, la soglia dei 400 euro alla tonnellata alla Borsa di Parigi.

Guardando al nostro cortile, qualcuno ha lanciato l’allarme: le scorte potrebbero bastare fino all’estate. Dove stia la realtà e dove stia la speculazione non è facile definirlo, visto che l’Italia importa da questi Paesi solo il 3% del grano tenero ed il 13% di mais: percentuali che possono essere rilevanti, certo, ma anche facilmente sostituibili. Tanto più che è periodo di semine nel nostro Paese e sono tanti gli imprenditori agricoli che stanno valutando di cambiare le proprie strategie, puntando sulla cerealicoltura che, nel futuro prossimo, potrebbe essere un comparto tanto redditizio quanto fondamentale a livello nazionale e comunitario.

Se questi sono alcuni temi, molti altri sono i comparti toccati in maniera più o meno diretta dallo scoppio della guerra e dalle sue ripercussioni: si pensi al settore degli allevamenti, che a causa delle problematiche di cui sopra, potrebbe avere problemi nel reperimento dei mangimi per l’alimentazione degli animali, oppure a quello vitivinicolo, che grazie al Made in Italy era riuscito a diventare il primo esportatore di vino in Russia e che ora vede questo business a rischio a causa delle sanzioni inflitte dopo l’attacco in Ucraina.

Oltre alle materie prime, poi, c’è tutta la partita energetica: i prezzi del metano e degli idrocarburi sono schizzati alle stelle, gli autotrasportatori minacciano scioperi, mentre anche nel settore della pesca sono molti gli operatori che hanno deciso di lasciare in porto le proprie barche per limitare le perdite.

L’esito di questa situazione è davvero preoccupante: le forniture faticano ad arrivare, con la conseguenza di scaffali vuoti che vanno a rinforzare la psicosi collettiva e la corsa agli acquisti, generando un rally dei prezzi che ha già portato alla contemporanea erosione dei (già scarsi) margini di guadagno da parte degli operatori del settore e ad un contemporaneo aumento dei costi (stimabile nel 9%) in capo alle famiglie.

Questa spiacevolissima e difficile situazione, però, ha anche padri antichi, e non è figlia solo del momento contingente.

La scelta fatta negli anni, da parte dei nostri politici, di sviluppare un’economia interconnessa a quella degli altri Paesi, in questo momento si sta rivelando un pericoloso boomerang.

Già da tempo gli indizi non mancavano e l’immagine degli allevatori, prima del nord Italia poi quelli sardi nel 2019, che sversavano il proprio latte perché le quote latte non permettevano loro di utilizzarlo legittimamente per rispettare assurde limitazioni imposte dal mercato comunitario, doveva essere un chiaro campanello di allarme

Ora la situazione attuale presenta il conto di un settore agroalimentare fortemente dipendente dall’estero, in cui le potenzialità nazionali non vengono pienamente sfruttate per mantenere un equilibrio complessivo che, in tempi difficili come quelli attuali, in tempi di guerra, egoisticamente parlando, non può essere la priorità.

Riprogrammare la propria produzione e il proprio sistema produttivo non è esattamente un’operazione semplice e questo riguarda egualmente il sistema di produzione agroalimentare, ma anche quello energetico, oggi alle prese con la necessità di trovare, in brevissimo tempo, alternative al gas russo, per scongiurare un generalizzato switch off che potrebbe avere effetti devastanti sull’economia nazionale, ma ancora prima sulla vita quotidiana delle persone.

Quello che va scongiurato è l’entrata in un’economia di guerra, fatta di prodotti razionati e di limitazioni alle vendite, sperando poi che le gelate tardive non arrechino danno alle coltivazioni che stanno godendo della mitezza di queste giornate tardo invernali, perché ciò potrebbe essere un ulteriore problema da affrontare.

Quello rappresentato è uno scenario forse lontano, ad oggi, ma abbiamo visto come gli avvenimenti viaggino veloce e come tutto possa cambiare rapidamente. Così presto potremmo trovarci nuovamente a consumare caffè di cicoria o di ghiande, ad utilizzare il dado da cucina al posto del brodo di carne o a sorseggiare del karkadé, ottenuto dai fiori di ibisco, al posto del tè inglese, come già avvenuto ottant’anni fa ai nostri genitori o ai nostri nonni.

Friedrich Nietzsche sosteneva che il tempo è ciclico e che la vita dell’uomo è caratterizzata da un eterno ritorno all’uguale: la speranza è che l’idea del famoso filosofo tedesco, questa volta, non diventi realtà.