Come stiamo raccontando la nostra agricoltura?

Sempre più spesso, in questi ultimi anni, si è evidenziata l’importanza dello storytelling, ossia dell’utilizzo delle storie come strumenti per raccontare in modo più coinvolgente e convincente qualsiasi tipo di fatto umano.

Chiunque si occupi di marketing, piuttosto che di comunicazione, sa bene quanto una buona storia rappresenti un’autostrada verso il cuore delle persone, trasformando così ogni oggetto del racconto in una causa, un prodotto o un tema di cui interessarsi.

In un momento così delicato per la nostra economia, vale quindi la pena, forse, interrogarsi su come stiamo raccontando la nostra agricoltura, un settore di primaria importanza per la sopravvivenza, ma che spesso viene considerato di secondo piano o, addirittura, trascurato. Questo, però, non deve succedere, tantomeno in questo periodo storico.

Già, perché è oggi il momento in cui i vari settori economici si spartiranno le risorse del Recovery Fund per provare a ripartire, perché è oggi il momento in cui tutti devono stringere i denti e può bastare davvero poco a fare la differenza, sia in senso positivo che negativo.

Per capire la situazione, basta guardare qualche numero: la chiusura di agriturismi e ristoranti durante il periodo delle festività ha causato una perdita prossima ai 750 milioni di euro e, a ben pensarci, si tratta di frutta, verdura, carni, formaggi e vini che non sono stati consumati. Pertanto, a cascata, tali danni non possono che ripercuotersi in larga parte sul mondo dell’agricoltura.

Come stiamo raccontando la nostra agricoltura, si diceva. Se come parametro di riferimento dovessimo prendere quanto ci viene proposto dalla televisione italiana, probabilmente la risposta sarebbe male. Anzi, malissimo.

Ci sono i programmi che parlano stabilmente di agricoltura. O meglio, che dovrebbero parlarne. Se la “Tv degli agricoltori” del 1955 era veramente la voce del settore primario, con il passare degli anni tali trasmissioni si occupano sempre meno dei reali problemi degli agricoltori, non danno più la parola alle istituzioni del comparto, ma sono un carosello di chef più o meno stellati e di imprese più o meno sponsorizzate che sfruttano tali vetrine per farsi conoscere.

Molto spesso, in queste trasmissioni si raccontano storie. Storie di persone che, a un certo punto della vita, dopo aver fatto lungamente tutt’altro, hanno scelto di “tornare all’agricoltura”; storie di aziende minuscole che producono prodotti particolarissimi, che sono riuscite a recuperare coltivazioni antiche o che sono riuscite a ritagliarsi piccolissime nicchie all’interno del vastissimo mondo dell’agricoltura.

Queste storie arrivano senza dubbio al cuore delle persone, ma la testa deve supportarci nel capire una questione fondamentale: questa agricoltura, fatta di piccolissime realtà e di “ribelli” in fuga dalle loro abitudini, è solo una parte dell’agricoltura. Forse nemmeno quella più importante.

Ci sono grandi imprese agroalimentari che producono enormi quantità di cibo senza mai trascurare la cura dei processi e dei prodotti, imprese che rappresentano il fiore all’occhiello del settore primario e che rappresentano delle certezze, visto che, grazie al loro contributo, l’approvvigionamento è e sarà sempre garantito, anche nei momenti di maggiore difficoltà.

Tali aziende, però, talvolta sono fatte oggetto dell’altra televisione italiana. La televisione che cerca di fare “inchiesta” e di fare scoop sulle spalle di chi, da anni, porta avanti in maniera onesta il proprio lavoro. La televisione d’assalto che spesso, senza l’adeguata preparazione e senza le dovute cautele, sbatte in prima pagina chi si impegna quotidianamente nel suo lavoro, generando danni non solo alla singola azienda, ma, spesso, a interi settori.

Ciò detto, ritengo sia doveroso precisare che nel settore agroalimentare, così come in tutti gli altri comparti produttivi, non mancano abusi e situazioni grigie, che vanno certamente combattute, ma nelle aule dei tribunali, con l’intervento degli enti preposti e non sulla base di processi sommari pubblicati in prima serata o sulle pagine dei giornali.

Concludendo, ritengo che in un momento così complicato come quello stiamo vivendo, la priorità debba essere fare fronte comune. Il settore agricolo è uno di quelli che, più di tutti, ha subito le maggiori perdite dalle lunghe chiusure degli ultimi mesi e che, di conseguenza, ora debba lottare per vedere riconosciuto il proprio ruolo e i propri diritti.

Questo è il giorno in cui l’agricoltura deve tornare a raccontarsi in maniera vera, genuina, facendo vedere tutta l’attenzione e la cura che contraddistingue i processi produttivi, ma anche tutte le difficoltà con cui quotidianamente gli operatori del settore devono confrontarsi per portare avanti la loro attività.

È necessario che i mass media inizino a parlare dei prodotti agricoli italiani, che sono i prodotti dalla qualità più elevata del mondo, specialmente dal punto di vista sanitario, ma soprattutto che aiutino gli operatori del settore a diventare imprenditori, a far conoscere loro le possibilità offerte dalla tecnologia, dai nuovi orientamenti colturali, dal mercato, a far capire loro che i fondi pubblici sono preziosi aiuti per le aziende, ma che non possono essere utilizzati come colonne portanti delle attività e considerati fondamentali per far tornare i bilanci.

È necessario che il Ministro dell’Agricoltura parli alla sua gente, che si mettano in campo tutte le forze e gli strumenti per promuovere al meglio il prodotto “agricoltura italiana” e per fare questo serve il contributo di tutti, dai funzionari ai braccianti, dai protagonisti dell’informazione agli operatori, facendo fronte comune contro le difficoltà.

Solo tramite questo sforzo comune, domani, ci potrà essere una nuova e brillante storia da raccontare.