La crisi silenziosa dell’agricoltura: sempre più difficile trovare manodopera qualificata

Nel contesto delle profonde trasformazioni in atto sul piano socio-economico – tra cui si annoverano l’invecchiamento progressivo della popolazione e la deindustrializzazione che interessa molte delle principali economie europee – anche il mercato del lavoro italiano sta attraversando una fase di profondo mutamento.

Da un lato, si assiste a un costante incremento del fenomeno della “fuga dei cervelli“, con un numero crescente di giovani qualificati che scelgono di trasferirsi all’estero. Dall’altro lato, il mercato del lavoro mostra un’offerta crescente in quasi tutti i settori, spesso superiore alla domanda effettiva. In tale contesto, cambiare lavoro, ricercare condizioni contrattuali più vantaggiose o persino abbandonare un impiego stabile non rappresentano più scelte eccezionali. I giovani, in particolare, si trovano nelle condizioni ideali per compiere queste scelte, agevolati sia da fattori di natura personale che dal contesto lavorativo in cui operano.

Sul piano personale, molti giovani non presentano vincoli familiari rilevanti: frequentemente non sono sposati, non hanno figli e, soprattutto in Italia, vivono ancora con i genitori. Inoltre, sono spesso orientati alla realizzazione di progetti di vita che non sempre risultano compatibili con l’attività lavorativa attualmente svolta. Dal punto di vista del contesto professionale, accade frequentemente che i giovani neoassunti, pur con contratti a tempo indeterminato, ricevano inquadramenti economici tra i più bassi del settore, anche dopo i primi anni di esperienza.

Questo insieme di condizioni contribuisce a incentivare la ricerca di nuove opportunità professionali, più coerenti con le aspirazioni individuali. In alcuni casi, il cambio di occupazione avviene in modo deliberato e strategico, con l’obiettivo di ampliare il proprio bagaglio di competenze in ambiti differenti, acquisendo così conoscenze trasversali e valutando al contempo percorsi lavorativi alternativi.

Il settore agricolo si trova oggi in una fase particolarmente critica: reperire manodopera, soprattutto qualificata, è diventato un problema strutturale. I dati analizzati dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, relativi al fenomeno delle “Grandi dimissioni”, mostrano un’Italia in cui oltre 1,2 milioni di lavoratori a tempo indeterminato hanno abbandonato volontariamente il proprio impiego nel solo 2024. Questo dato, che potrebbe sembrare marginale per l’agricoltura, in realtà ne sottolinea indirettamente una profonda debolezza: la concorrenza per attrarre e trattenere forza lavoro è sempre più agguerrita, e il comparto primario ne esce spesso sconfitto.

Un settore in affanno nella competizione per il capitale umano

 

I giovani lavoratori italiani – in particolare gli under 35 – pongono al centro delle proprie scelte la qualità della vita, la flessibilità e il benessere psicofisico. Lo dimostra l’attenzione crescente a benefit come lo smart working, la riduzione dell’orario, la formazione continua e i servizi di welfare. Elementi che l’agricoltura fatica a garantire per ragioni strutturali: la stagionalità, il lavoro manuale, la bassa marginalità delle imprese, i ritmi dettati dalla natura.

Mentre settori come il turismo o l’informatica cercano di adattarsi alle nuove aspettative dei lavoratori – spesso con difficoltà, ma con qualche margine di manovra – le imprese agricole vedono ridursi il bacino di lavoratori disponibili, soprattutto quelli con competenze tecniche e specifiche. Il risultato è un circolo vizioso: meno personale qualificato significa maggiore fatica per le aziende, minore qualità del prodotto, più stress operativo. E quindi, un ulteriore disincentivo all’ingresso di nuovi professionisti.

Il paradosso delle dimissioni “per scelta”

 

Il documento evidenzia un paradosso tipico del nostro tempo: sempre più persone rinunciano a un impiego sicuro e continuativo non per guadagnare di più, ma per vivere meglio. Si cambia lavoro per avere un parcheggio, una polizza sanitaria o semplicemente per evitare un ambiente tossico. In agricoltura, dove spesso si lavora in contesti isolati, senza una rete di supporto aziendale e con orari legati al meteo e alle esigenze delle colture, diventa difficile offrire attrattive alternative.

Inoltre, la crescente complessità tecnica dell’attività agricola – basti pensare alle normative ambientali, alla meccanizzazione, alla digitalizzazione delle pratiche – richiederebbe un personale sempre più qualificato, capace di operare in sinergia con agronomi, tecnici, veterinari, consulenti. Tuttavia, i giovani diplomati e laureati tendono a evitare questo settore, percepito come faticoso e poco valorizzante, sebbene rappresenti oggi una sfida imprenditoriale ad alto contenuto tecnologico.

Prospettive e scenari futuri

 

Se non si inverte la rotta, le proiezioni demografiche – che stimano una perdita di 5 milioni di persone in età lavorativa entro il 2040 – lasciano presagire scenari ancora più problematici per il comparto primario. Le aziende agricole dovranno adottare strategie innovative per attrarre forza lavoro: non solo stipendi competitivi, ma soprattutto formazione, riconoscimento professionale, condizioni dignitose e una cultura del lavoro che valorizzi il contributo umano.

Serve, infine, un’azione sistemica. Le istituzioni devono considerare l’agricoltura come un pilastro non solo economico, ma sociale e ambientale. E per questo investire nella qualificazione professionale, nella semplificazione normativa e nell’integrazione delle politiche attive del lavoro con le esigenze specifiche del settore.

In un mondo che cambia, anche il lavoro nei campi deve poter diventare una scelta di vita, non un ripiego. Ma per farlo, deve offrire dignità, sicurezza e futuro.