I dazi USA: una nuova minaccia per l’export italiano e il settore agricolo

L’applicazione di dazi sulle merci importate o esportate da un Paese si attua per diversi motivi, sia economici che politici.

Le principali ragioni per cui i governi impongono dazi negli scambi commerciali includono:

Protezione dell’industria nazionale. Uno degli obiettivi principali dei dazi è proteggere le industrie domestiche dalla concorrenza estera. Se un Paese importa grandi quantità di beni prodotti a costi inferiori all’estero, le aziende locali potrebbero non essere in grado di competere sui prezzi. L’imposizione di un dazio rende le importazioni più costose, favorendo la produzione locale. Questo vale anche quando la produzione ottenuta in paesi esteri è sostenuta, in maniera più o meno trasparente, da fondi statali, pertanto, si ritiene non vi sia una leale concorrenza nel mercato.

Generazione di entrate per lo Stato. I dazi rappresentano una fonte di reddito per il governo. Questo era particolarmente rilevante nei secoli passati, quando molte economie si basavano fortemente sulle imposte doganali per finanziare le proprie attività. Anche oggi, alcuni Paesi applicano dazi con l’obiettivo principale di aumentare le entrate fiscali.

Correzione di squilibri commerciali. Alcuni governi impongono dazi per ridurre un deficit commerciale, ovvero quando le importazioni superano di gran lunga le esportazioni. Limitando l’acquisto di prodotti esteri attraverso tariffe più alte, si cerca di incentivare la produzione nazionale e migliorare la bilancia commerciale.

Ritorsione commerciale e politica. I dazi possono essere utilizzati come strumento di ritorsione in caso di dispute commerciali. Se un Paese impone dazi su un prodotto di un altro Paese, quest’ultimo potrebbe rispondere con dazi simili o addirittura più alti. Questo può portare a guerre commerciali, come quella tra Stati Uniti e Cina negli ultimi anni.

Promozione di settori strategici. Alcuni governi impongono dazi per incentivare lo sviluppo di settori ritenuti strategici per l’economia nazionale, come la tecnologia, l’energia o l’industria automobilistica. Limitare le importazioni attraverso tariffe elevate consente alle aziende locali di crescere con meno concorrenza estera.

Standard ambientali e sociali. Alcuni dazi vengono giustificati per scoraggiare l’importazione di beni prodotti con standard ambientali o sociali ritenuti inaccettabili. Ad esempio, alcuni Paesi applicano dazi su prodotti provenienti da nazioni che sfruttano il lavoro minorile o che non rispettano regolamenti ambientali.

Controllo dell’inflazione e della domanda interna. In alcuni casi, i dazi possono essere usati per regolare la domanda interna. Se un Paese teme un eccessivo afflusso di prodotti stranieri a basso costo, potrebbe introdurre dazi per evitare un abbassamento dei prezzi che potrebbe danneggiare la produzione interna.

L’era del libero mercato, che si autoregola, ha visto un sensibile arresto già prima dell’attuale conflitto russo-ucraino, ma l’utilizzo dei dazi negli scambi commerciali è una strategia con implicazioni economiche e politiche complesse che il contesto attuale ha riportato in auge. Se da un lato i dazi possono proteggere le industrie nazionali e ridurre il deficit commerciale, dall’altro rischiano di innescare ritorsioni da parte dei Paesi colpiti, aumentare i costi per i consumatori e ridurre il volume degli scambi internazionali. Per questo, l’imposizione dei dazi è sempre oggetto di intense trattative e dibattiti in ambito internazionale.

L’introduzione di nuovi dazi sulle importazioni di prodotti europei da parte degli Stati Uniti potrebbe avere un impatto significativo sul commercio internazionale e sull’economia italiana. Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ha riacceso il dibattito sul protezionismo economico e sulle politiche tariffarie, con l’annuncio di tariffe comprese tra il 10% e il 20% per i prodotti europei. Per l’Italia, che ha negli USA un primario mercato di destinazione extra-UE, si tratta di una minaccia concreta per settori strategici come la manifattura e l’agroalimentare.

L’Italia nel 2023 era il sesto paese per esportazioni di merci. Prima di noi vi erano nell’ordine: Giappone, Paesi Bassi, Germania, Stati Uniti e Cina. Per il nostro Paese i volumi delle esportazioni di merci ha un valore che mediamente si aggira oltre i 650 miliardi di euro. Le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti rappresentano il dieci per cento del totale e sono in costante crescita. Tuttavia, l’imposizione di nuovi dazi potrebbe ridurre le esportazioni italiane verso gli USA (alcuni studi prevedono una riduzione fino al 16%). Se tale scenario fosse confermato, la perdita stimata per il nostro Paese sarebbe compresa tra i 4 e i 7 miliardi di euro, a seconda della portata dell’aumento tariffario.

I settori più colpiti sarebbero quelli della meccanica, della chimica e dei prodotti siderurgici, con ripercussioni anche sul comparto della moda e del lusso. La riduzione della competitività dovuta all’aumento dei prezzi scoraggerebbe i consumatori americani dall’acquistare prodotti italiani, favorendo alternative locali o di altri Paesi non soggetti alle stesse restrizioni.

Secondo uno studio di Prometeia, se i dazi riguardassero solo i prodotti già sottoposti a tariffazione, il danno per l’industria italiana sarebbe di circa 4 miliardi di euro. Se, invece, le tariffe venissero applicate in modo generalizzato, i costi aggiuntivi per le imprese italiane supererebbero i 9 miliardi di euro. A soffrire di più sarebbe il comparto della meccanica, con perdite stimate per oltre 2,5 miliardi di euro.

L’industria siderurgica, in particolare, rischia un contraccolpo significativo: nel 2023 l’Italia ha esportato acciaio per 600 milioni di euro e prodotti in ferro e acciaio per 1,5 miliardi di euro negli USA. Un aumento delle tariffe potrebbe mettere in crisi le imprese del settore, già colpite dalle difficoltà legate all’aumento dei costi energetici.

Il settore agroalimentare italiano è uno dei più vulnerabili ai dazi USA. Già nel primo mandato di Trump, prodotti simbolo del Made in Italy come formaggi, olio d’oliva e pasta erano stati colpiti da tariffe aggiuntive del 25%, causando una perdita di oltre 6.000 tonnellate nelle esportazioni di formaggi italiani negli USA, pari a circa 65 milioni di euro.

Anche il settore vinicolo ha subito danni ingenti, con perdite stimate di circa 468 milioni di euro a causa dei dazi sulle bevande alcoliche. Un’ulteriore escalation protezionistica potrebbe aggravare questa situazione, compromettendo la competitività del vino italiano negli Stati Uniti, uno dei principali mercati di riferimento per i produttori del nostro Paese.

Oltre ai prodotti già colpiti in passato, anche le esportazioni di carni lavorate, conserve e dolci potrebbero subire forti penalizzazioni.

Questa guerra dei dazi, che ha visto tra i suoi recenti attori anche l’Europa, per l’introduzione dei dazi sui prodotti cinesi (in particolare nel settore auto e batterie), rischia di creare una tempesta perfetta nel nostro continente (già in crisi, per altri motivi, nel comparto dell’industria meccanica e manifatturiera), specie se vi fosse una corrispondente misura sulle esportazioni dei prodotti UE anche sul mercato cinese. La concomitanza di nuovi dazi dai due principali mercati di riferimento del nostro export (CINA e USA) potrebbe mettere in grande stress il nostro sistema produttivo in quanto anche la domanda interna dei Paesi UE è stagnante.

L’Unione Europea potrebbe rispondere ai nuovi dazi USA con misure di ritorsione, come già avvenuto nel 2018, quando furono imposte tariffe su prodotti agricoli americani, motociclette e bourbon. Tuttavia, un’escalation della guerra commerciale penalizzerebbe tutte le parti coinvolte, aumentando i costi per i consumatori e le imprese.

Per l’Italia, la soluzione migliore sarebbe rafforzare gli accordi commerciali con altri mercati emergenti e investire sulla diversificazione geografica dell’export. Su questo le imprese si stanno già muovendo, ma rimane più difficile trovare sbocchi per l’export di prodotti agroalimentari in quanto, in genere, i nostri prodotti hanno costi di produzione elevati e ciò si riflette sul prezzo che il consumatore finale estero dovrebbe sostenere. Pare quindi più facilmente percorribile la ricerca di nuovi mercati per prodotti ad elevato valore aggiunto.

L’introduzione dei dazi potrebbe essere, in parte, contrastata anche con l’adozione di strategie di branding e certificazione di qualità e di sostenibilità dei prodotti. Questo potrebbe aiutare le imprese italiane a mantenere una posizione competitiva anche in un contesto di maggiore protezionismo.

I nuovi dazi USA rappresentano una minaccia concreta per l’economia italiana, soprattutto per i settori manifatturiero e agroalimentare. La perdita di quote di mercato negli Stati Uniti avrebbe conseguenze significative per le imprese esportatrici, mettendo a rischio migliaia di posti di lavoro.

Nel 2020, come anticipato, a fronte di dazi del 25%, il calo delle esportazioni di formaggi Grana e Parmigiano verso il mercato americano fu stimato nella misura del 19% (dati Confcooperative) con una perdita di valore, solo per questo comparto, di 64 milioni di euro. Una frenata a doppia cifra sulle esportazioni, su una più ampia gamma di prodotti minaccia quindi l’intero comparto agroalimentare.

È fondamentale che il governo italiano e le istituzioni europee lavorino a strategie di difesa commerciale e di diversificazione dei mercati per limitare gli effetti negativi del protezionismo americano. Solo un’azione coordinata e tempestiva potrà proteggere il Made in Italy e garantire la competitività delle nostre imprese nel lungo periodo.